La dieta può cambiare la genetica? Api ed epigenetica

Spesso, parlando di diete alimentari (e sottolineo diete perché mi pare giunto il momento di sdoganare questo termine antico), viene chiesto se ciò che mangiamo possa modificare anche il nostro assetto genetico.

Cioè se scegliendo un particolare alimento rispetto ad un altro si attuino dei cambiamenti nel come le nostre cellule riescano a spegnere o accendere i loro geni; è questo uno dei tanti quesiti dell’epigenetica, campo della biologia che studia la variazione del comportamento di una cellula (o tessuto cellulare) rispetto ad una sua gemella o clone sottoposta a condizioni esterne diverse. La sua alimentazione è una delle possibili sorgenti di pressione a modificarsi, nonostante il suo DNA resti totalmente simile alla sua sorella o clone.

API E GENI

Osserviamo la vita di un alveare. La presenza di api operaie e regine, tralasciando i fuchi per il momento, ci mostra come un alimento, la pappa reale, possa modificare notevolmente la azione di geni in individui molto simili geneticamente, essendo sorellastre o sorelle. La nascosta ape regina (bellissima la foto di Luca Mazzocchi tratta da mondoapi.it), è la fondatrice di un’intera colonia di api, con una vita che potrebbe raggiungere i tre-quattro anni, un’eternità se paragonata alla vita media di un’operaia, che normalmente tra la primavera e l’inizio dell’autunno dura 30-40 giorni (d’inverno anche 180 giorni, coprendo parte dell’autunno fino all’inizio della primavera).

L’ape regina si nutre costantemente di pappa reale, mentre le api operaie si nutrono di nettare e polline, eccetto i primi tre giorni di vita quando sono ancora larve. Entrambi gli alimenti forniscono energia, ma la pappa reale ha una caratteristica in più: i suoi nutrienti possono sbloccare le istruzioni genetiche per creare l’anatomia e la fisiologia di un’ape regina.

Come può il cibo intervenire modificando delle istruzioni biologiche? Ricordiamo che gli alimenti sono composti da macronutrienti. Questi includono carboidrati (o zuccheri), proteine e grassi. Gli alimenti contengono anche micronutrienti come vitamine e minerali. Questi composti e i loro prodotti di degradazione possono attivare interruttori genetici che risiedono nel genoma. Ecco il perché del termine di accensione o spegnimento dei geni, sopra scritto.

Come gli interruttori che regolano l’intensità della luce in casa, gli interruttori genetici determinano la quantità di un determinato prodotto genico. Non sempre è richiesta una massiccia produzione di una particolare sostanza, anzi. Talvolta questo eccesso ha un effetto nocivo se avviato senza controllo (ricordiamoci dei processi infiammatori o dei tumori). La pappa reale, per esempio, contiene composti che attivano i controllori genetici per formare gli organi della regina e sostenere la sua capacità riproduttiva. Negli esseri umani e nei topi, i sottoprodotti dell’aminoacido metionina, presenti in abbondanza nella carne e nel pesce, sono noti per influenzare i regolatori genetici importanti per la crescita e la divisione delle cellule. I ben pasciuti Beefeater (i guardiani della Torre di Londra) si sono guadagnati il loro soprannome perché a dispetto del rancio militare del XVII secolo, essi godevano di razioni extra di carne (beef+eater) che permettevano una prestanza fisica maggiore.   

Ma anche le vitamine possono collaborare al miglioramento della qualità della vita: la vitamina C contribuisce a mantenerci in salute proteggendo il genoma dai danni ossidativi e favorendo il funzionamento delle vie cellulari che possono riparare il genoma in caso di danni. Idem per il retinolo, derivato dalla vitamina A, o le vitamine del gruppo B.

LA CATENA ALIMENTARE IN NOI

A seconda del tipo di informazione nutrizionale, dei controlli genetici attivati e della cellula che li riceve, i messaggi del cibo possono influenzare il benessere, il rischio di malattie e persino la durata della vita.

Le care api sono state studiate con questi condizionamenti alimentari, considerato che del loro sviluppo si conoscono bene le fasi. E quanto queste modifiche siano “ereditabili” dalle nuove generazioni.

Se ci pensiamo bene, vedremo che il nostro corpo può essere influenzato da ciò che abbiamo mangiato fino a un livello molecolare; infatti il cibo che consumiamo può variare nella sua origine e questo potrebbe influenzare il nostro genoma. Per esempio, rispetto al latte delle mucche alimentate a erba, il latte delle mucche alimentate a cereali ha quantità e tipi diversi di acidi grassi e di vitamine C e A. Quindi, quando gli esseri umani bevono questi diversi tipi di latte, anche le loro cellule ricevono messaggi nutrizionali diversi.

Allo stesso modo, la dieta di una madre umana modifica i livelli di acidi grassi e di vitamine come la B-6, la B-12 e i folati che si trovano nel suo latte materno. Questo potrebbe alterare il tipo di messaggi nutrizionali che raggiungono gli interruttori genetici del bambino; ancora oggi questo è un campo inesplorato.

E, forse a nostra insaputa, anche noi facciamo parte di questa catena alimentare. Il cibo che mangiamo non modifica solo gli interruttori genetici delle nostre cellule, ma anche quelli dei microrganismi che vivono nel nostro intestino, nella nostra pelle e nelle nostre mucose. Un esempio eclatante: nei topi, la scomposizione degli acidi grassi a catena corta da parte dei batteri intestinali altera i livelli di serotonina, un messaggero chimico del cervello che regola, tra l’altro, l’umore, l’ansia e la depressione.

ADDITIVI E IMBALLAGGI ALIMENTARI

Anche gli ingredienti aggiunti negli alimenti possono alterare il flusso di informazioni genetiche all’interno delle cellule. Pane e cereali posso essere arricchiti di sali di acido folico per prevenire difetti alla nascita causati da carenze di questo nutriente. Ma alcuni scienziati ipotizzano che alti livelli di folato in assenza di altri micronutrienti presenti in natura, come la vitamina B-12, possano contribuire alla maggiore incidenza di cancro al colon nei Paesi occidentali, forse influenzando le vie genetiche che controllano la crescita.

Questo potrebbe essere vero anche per le sostanze chimiche presenti negli imballaggi alimentari. Il bisfenolo A, o BPA, un composto che si trova nella plastica (le bottiglie dell’acqua di una volta, così come nei biberon e nelle tettarelle per i neonati qualche anno fa), nei mammiferi attiva i parametri genetici fondamentali per lo sviluppo, la crescita e la fertilità. Ad esempio, alcuni ricercatori sospettano che, sia negli esseri umani che nei modelli animali, il BPA influenzi l’età della differenziazione sessuale e riduca la fertilità rendendo più probabile l’attivazione di interruttori genetici.

Tutti questi esempi indicano la possibilità che le informazioni genetiche contenute negli alimenti possano derivare non solo dalla loro composizione molecolare – aminoacidi, vitamine e simili – ma anche dalle politiche agricole, ambientali ed economiche di un Paese, o dalla loro “mancata applicazione”.

Gli scienziati hanno iniziato solo di recente a decodificare questi messaggi genetici del cibo e il loro ruolo nella salute e nella malattia. I ricercatori non sanno ancora con precisione come i nutrienti agiscano sugli interruttori genetici, quali siano le loro regole di comunicazione e come la dieta delle generazioni passate influenzi la loro progenie.

NOI SIAMO CIO’ CHE MANGIAMO!

Questa frase celebre di Feuerbach, vecchia di quasi due secoli, è colma di significati profondi che spesso abbiamo sottovalutato: non solo gli alimenti intervengono sulla nostra vita e il suo stile (la dieta è uno stile di vita), ma anche sulla comunità in cui viviamo. Come il superorganismo ape. Molti di questi studi sono stati condotti finora solo su modelli animali e molto resta da capire su cosa significhino le interazioni tra cibo e geni per gli esseri umani. Per il momento un grazie anche alle api per ciò che ci insegnano!

Note:

a cura del dr. Piero Milella

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