
Il mondo della biodiversità è un mondo che apre sempre di più nuovi orizzonti alla nostra visione. Dopo gli splendidi scenari-cartolina di eremi “orientali”, dal sud-est asiatico alla Amazonia, che fanno bella mostra di se anche sui nostri desktop o sui dépliant di viaggi esotici, la doccia fredda ci piove dai rischi indotti dagli animali selvatici, simili a serbatoi di tante malattie. Le scimmie, i pangolini (nella foto in basso), i pipistrelli, gli zibellini e così via, sono diventati in breve tempo draghi che vomitano virus e batteri.

Velocemente ci dimentichiamo degli allevamenti intensivi di pollame e maiali, di vacche e pesci. La corsa all’esproprio della Natura ha impoverito territori sconfinati: foreste e mari, fiumi e colline, catene montuose e laghi. Flora e fauna, perfino i suoli, sono stati omogeneizzati per necessità predatorie. La Natura vera, quella non antropizzata, è diventata così una minaccia per l’Umanità, forse come lo era per l’uomo preistorico, quando era ancora in attesa di scoprire il fuoco o la selce da sgrossare per farne un attrezzo. Che bel salto nella paura ancestrale! Ben vengano quindi gli attenti Ricercatori che portano un po’ di luce negli oscuri anfratti della nostra caverna mentale. Tra questi due studiosi statunitensi che hanno messo in correlazione lo stato di biodiversità ai rischi di infezioni, fondamentalmente virali e batteriche, veicolate da animali e pericolose per l’Umanità (1), dette zoonosi.

In questo studio, seppure la complessità del fenomeno del “salto” di un agente infettivo da animale ad uomo (detto spill over) è tutta da decifrare ancora, alcuni fattori emergono chiaramente: La biodiversità non è una minaccia per noi, in realtà ci sta proteggendo dalle specie che più probabilmente ci faranno ammalare. Piccoli animali a vita breve sembrano sviluppare meno le difese immunitarie contro patogeni, a differenza di animali longevi. Questi ultimi non sono favoriti durante le fasi di riduzione della biodiversità. Gli animali “addomesticati” hanno un maggior rischio di essere veicoli di patogeni per l’uomo rispetto a quelli selvatici, anche di un fattore 100. La ricerca ha verificato che le specie che prosperano nei paesaggi “sviluppati” e degradati sono spesso molto più efficienti nell’ospitare agenti patogeni e trasmetterli alle persone. Nei paesaggi meno disturbati con più diversità animale, questi serbatoi rischiosi sono meno abbondanti e la biodiversità ha un effetto protettivo. Sembra esistere un fattore di diluizione dei rischi: più un ambiente ha una alta biodiversità, in un ambiente naturale, meno appaiono i rischi di zoonosi.

Ciò dovrebbe spingere a intraprendere nuove ricerche per comprendere meglio quanto l’Umanità impatta con i suoi sviluppi (le modifiche degli habitat, i cambiamenti ambientali, la massificazione dei raccolti, l’aumento della popolazione) con queste infezioni veicolate da animali. Comunque altri Ricercatori ci avvertono di non sottovalutare l’aumentata disomogeneità nelle condizioni umane, frutto di economie poco naturali (2), che accelerano la perdita della biodiversità. Fenomeno questo evidente, agli occhi di analisti attenti anche in questo periodo di pandemia, dove tutto sembra congelato, come i nostri vaccini!
Ancora più intrigante è la corsa industriale alla produzione (3) di prodotti alimentari di “sintesi” (miele, albume d’uovo e latte), da più fonti sbandierate come la vittoria contro la fame della Terra e che pensiamo sia una deriva negativa, verso una riduzione della Biodiversità, del Benessere e, nel piccolo mondo dell’Apiterapia, un gravissimo affronto alla salute.
FONTI:
- F. Keesing, R. S. Ostfeld “Impacts of biodiversity and biodiversity loss on zoonotic diseases” PNAS 2021;
- Garnier J, Savic S, Boriani E, Bagnol B, Häsler B, Kock R. “Helping to heal nature and ourselves through human-rights-based and gender-responsive One Health”. One Health Outlook. 2020;
- https://www.focus.it/scienza/scienze/cibo-sintetico-miele-senza-api-uova-galline
a cura del dr. Piero Milella