Articolo pubblicato sul numero di settembre 2020 dell’Apicoltore Italiano.

Negli ultimi anni si è molto sentito parlare del declino delle api e dell’eventuale ripercussione che questo fenomeno potrebbe avere sull’ambiente e sul nostro modo di vivere e alimentarci. L’ape da miele, infatti, fa parte del gruppo degli apoidei apiformi, che hanno una grande importanza nel servizio ecosistemico in quanto si sono completamente coevoluti con le magniliofite.
Queste piante, dette anche angiosperme (piante con fiore) sono comparse sulla terra durante il Cretaceo, circa 130 milioni di anni fa e si sono diffuse notevolmente. Più o meno contemporaneamente sono comparsi anche gli insetti impollinatori in grado di favorire l’impollinazione incrociata di queste piante. Ecco quindi che le piante nel corso dell’evoluzione hanno sviluppato una serie di strategie per attirare gli insetti impollinatori quali ad esempio la forma ed il colore dei fiori, il profumo e le “ricompense” sotto forma di nettare. A questo proposito uno studio recente ha dimostrato come le piante reagiscono al ronzio delle api secernendo una maggiore quantità di nettare a pochi minuti dalla percezione del ronzio (Veits et al., 2019). Dall’altra parte gli insetti impollinatori ed in modo particolare le api hanno sviluppato una serie di strutture adatte alla raccolta del miele e del polline: occhi potenti per riconoscere i colori, sensilli nelle antere per captare il profumo, una ligula ben sviluppata per succhiare il nettare dal fondo della corolla e tutta una serie struttura di setole e pettini per la raccolta del polline. Sono proprio queste strutture ed in particolare la presenza di una peluria piumata in grado di caricarsi elettrostaticamente e quindi di raccogliere il polline con grandissima efficienza e facilità, che ha fatto sì che gli Apoidei apiformi siano praticamente l’altra faccia della medaglia delle Magnoliofite, le piante oggi più diffuse sul pianeta. Questa coevoluzione è ancora più stupefacente se si pensa che gli apoidei apiformi non discendono direttamente dai primi insetti impollinatori ma da un gruppo di imenotteri che visitava i fiori per cacciare questi insetti. La comparsa di una peluria piumata, avrebbe trasformato queste vespe predatrici in insetti dediti alla raccolta di polline e nettare fino a renderli totalmente dipendenti dai fiori per la loro alimentazione. All’interno della superfamiglia degli Apoidei si conoscono specie solitarie, gregarie e sociali, ognuna responsabile dell’impollinazione di poche o molte specie vegetali ma tutte assieme fondamentali per la conservazione delle piante e quindi degli ecosistemi e della biodiversità.


L’impatto degli Apoidei sulla riproduzione delle piante varia da specie a specie sia per il numero di specie vegetali che visitano per la ricerca di risorse alimentari che per il numero di fiori impollinati per unità di superficie, ma in ogni habitat tutti sono fondamentali per la conservazione della biodiversità.

Le diverse specie, anche in relazione al loro grado di socialità, hanno poi una attività di volo e quindi di impollinazione variabile da poche settimane a diversi mesi l’anno. In Europa Apis mellifera è l’unico apoideo in grado di formare colonie durevoli che sono in grado di superare l’inverno e presenta il livello massimo di socialità (eusocialità).
L’ape da miele è una specie del genere Apis, diffuso in Asia con diverse specie, e da Apis mellifera in Europa, Africa e Medio Oriente. Proprio perché diffusa in un areale così ampio che presenta condizioni climatiche diverse all’interno di A. mellifera troviamo delle sottospecie diverse che vanno ad incrementare la variabilità genetica della specie. In Italia sono presenti ben 4 sottospecie diverse: la più diffusa nella penisola è A. m. ligustica, vi è poi A. m. sicula in Sicilia, A. m. carnica nell’Italia nord-orientale, A. m. mellifera in quella nord-occidentale. La presenza di queste sottospecie sia in Italia che nelle altre regioni dell’areale di diffusione sono molto importanti in quanto permettono un migliore adattamento all’ambiente. L’ape da miele infatti è una componente naturale degli ecosistemi nelle sue aree di origine, e una grande parte della flora spontanea e di quella coltivata è legata a questa specie per riprodursi. Basti pensare che il 90 % delle piante da frutto sono legate alle api per l’impollinazione (Tauz, 2007). Ecco quindi che un declino delle api avrebbe una diretta conseguenza sulla flora sia coltivata che spontanea. Se noi pensiamo che ogni anno circa un quinto delle colonie muoiono durante il periodo invernale possiamo capire il perché della preoccupazione che c’è nei confronti della salvaguardia delle api. Come abbiamo detto le api ricavano il nutrimento dal nettare e dal polline, da quest’ultimo ricavano sali minerali, grassi, lipidi, proteine e aminoacidi essenziali che le api non sono in grado di produrre. Ogni specie vegetale produce un polline che ha caratteristiche chimiche leggermente diverse. La presenza di questi componenti nel polline non è costante ma una specie può essere più ricca di una altra in un componete e magari un po’ carente in un altro. Le api hanno bisogno per il loro benessere di raccogliere polline e nettare su diverse specie botaniche in modo da avere a disposizioni tutti i nutrienti che gli servono. Questo aspetto era conosciuto fin dall’antichità, infatti già Aristotele suggeriva di piantare nei pressi dell’apiario essenze nettarifere tra cui timo, l’agnocasto, il meliloto etc.. Questo consiglio è ancora oggi molto attuale e piantare queste essenze garantisce alle api una fonte diversificata di cibo per un periodo prolungato nel tempo favorendo il loro benessere. A loro volta le api possono garantire un servizio di impollinazione molto efficiente.


Le piante officinali, conosciute da secoli per le loro proprietà medicamentose od organolettiche, molto spesso sono interessanti anche come fonte di nettare e polline per le api. La loro semina può risultare strategica per il sostentamento delle colonie in periodi di scarsa importazione o anche semplicemente per diversificare le fonti di cibo disponibili, come precedentemente spiegato. Allo stesso tempo le piante officinali si integrano bene con i prodotti dell’alveare quali miele, cera, polline per la produzione di cosmetici, sciroppi e integratori alimentari e possono diventare un interessante segmento commerciale anche per le piccole aziende apistiche. La trasformazione del prodotto deve essere affidata a laboratori specializzati in quanto esula dal campo delle lavorazioni primarie, ma il crescente interesse del consumatore verso questa tipologia di prodotti è un segnale che la creazione di queste filiere corte e rispettose dell’ambiente può essere anche economicamente sostenibile.
a cura della dr.ssa Valeria Malagnini
BIBLIOGRAFIA
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Fontana P., Costa C., di Prisco G., Ruzzier E., Annoscia D., Battisti A., Caoduro G., Carpana C., Contessi A., Dal Lago A., Dall’Olio r., De Cristofaro A., Felicioli A., Floris I., Fontanesi L., Gardi T., Lodesani m., Malagnini V., Manias L., Manino A., Marzi G., Massa B., Mutinelli F., Nazzi F., Pennacchio F., Porporato M., Stoppa G., Tormen T., Valentini M., Segrè A., 2018. Appeal for biodiversity protection of native honey bee subspecies of Apis mellifera in Italy (San Michele all’Adige declaration).
Bulletin of Insectology, 71 (2): 257-271, ISSN 1721-8861.Nazzi F. (2020) In cerca delle api. Hoepli Editore S. p.A. Milano
Tauz J. (2007) Il ronzio delle api, Springer, 2009
Veits M., Khait I., Obolski U., Zinger E., Boonman A., Goldshtein A., Saban K., Seltzer R., Ben-Dor U., Estlein P., Kabat A., Peretz D., Ratzersdorfer I., Krylov S., Chamovitz D., Sapir Y., Yovel Y. and Hadany L. (2019) Ecology Letters 22: 1483–1492